“L’istinto della maternità è connaturato nella donna; o quanto meno, se pure prova un desiderio indistinto, la donna non nega a sé stessa la possibilità di essere mamma in futuro”. Esordisce così la dottoressa Mariavita Ciccarone, presidente de Gemme Dormienti, Associazione che dal 2011 si impegna ad assistere donne e bambine – ma anche maschi – nel percorso di preservazione della fertilità quando malattie oncologiche o croniche invalidanti[1] – e le loro relative terapie – possono compromettere la fertilità.

Che cosa significa preservare la fertilità?

È l’attività principale della nostra Associazione. Dobbiamo anzitutto dire che la fertilità, ovvero la capacità di riprodursi, non solo garantisce la continuità della specie umana, ma anche dona un valore aggiunto alla qualità di vita delle persone.

Soprattutto è bene tenere conto che in entrambi i sessi la capacità riproduttiva è “un bene a tempo” con un certo scarto nei due sessi (cioè meno tempo nella femmina). Questo nonostante la qualità della vita sia, e di molto, migliorata rispetto a solo cento anni fa. L’età fertile dei nostri giorni non ha subito grandi modifiche negli ultimi secoli!

Quindi, esattamente come allora, dopo una certa età, intorno ai 30 anni, gli ovociti che abbiamo ricevuto in dote alla nascita, non solo si riducono, ma diventano anche più “scadenti”: gli ovuli sono cellule e come tali invecchiano.

Il percorso di salvaguardia della fertilità deve iniziare dunque molto presto e deve essere governato da due assiomi: consapevolezza, quella appunto di non avere a disposizione tutta la vita per diventare genitori, e informazione, ovvero sapere quali sono i fattori che possono compromettere in futuro la genitorialità anche se ancora si è giovani e non ci si pensa.

Quali sono questi fattori di rischio e quali età interessano in particolare?

Chiariamo subito che dobbiamo occuparci di alcuni fattori di rischio già dalla pubertà. I primi nemici, molto spesso sottovalutati, sono le malattie sessualmente trasmesse (MST). Alcune sono di origine batterica – come la gonorrea, la sifilide, la clamidia – altre virale – parliamo del Papillomavirus, dell’Herpes genitale, delle Epatiti (B e C) e dell’HIV; altre ancora protozoarie o micotiche.

Sono patologie subdole, spesso silenti, e la diagnosi, quando arriva, nella maggior parte dei casi è tardiva. Per fare un esempio: la clamidia danneggia le tube, il luogo in cui spermatozoo e ovocita si incontrano. Il danno può essere “parziale”, cioè la tuba è danneggiata, ma è ancora pervia con conseguente rischio di gravidanze extra uterine, oppure strutturale. In questo caso le tube sono chiuse e la fecondazione non può avvenire.

Per evitare le MST bisogna assolutamente utilizzare metodi di barriera, come il preservativo. E non pensare, magari a 15 anni, “tanto ho una sola relazione e non utilizzo il condom” perché potrebbero esserci altri partner in futuro e il numero di partner, insieme ad altri fattori, correla col rischio di MST.

Occhio poi ad altri fattori che sottopongono la nostra fertilità a stress considerevole: fumo, alcol, droghe. E, ancora, ad altri stili di vita sbagliati: non scambiarsi forbicine oppure rasoi: tutto quello che favorisce il contatto del sangue non va bene.

Infine, una nota. Il vaccino contro il Papillomavirus è consigliabile anche ai giovani uomini. E un avviso: essere vaccinati non vuol dire sdoganare l’uso del preservativo. Per mantenersi in salute bisogna continuare a usare i metodi di barriera.

Cosa succede se, per esempio, contraggo queste malattie?

In parte l’abbiamo già detto. Ci può essere: la compromissione di alcuni organi votati alla fecondazione, come le tube; se si contrae l’HPV sussiste un rischio concreto di cancro alla cervice uterina; alcune altre malattie virali sono invece sistemiche, determinano cioè un danno multiorgano. Prima vengono intercettati i sintomi di malattie, meglio è. Sappiamo quanto sia difficile per un adolescente aprirsi e raccontare di sé, ma è auspicabile – e voglio davvero parlare con il cuore a ragazzi e genitori – cercare sempre di avere una figura di riferimento adulta. Un genitore, uno zio, il medico di famiglia. A queste persone occorre sempre segnalare qualsiasi trasformazione del corpo che non quadri. Prima si arriva a una diagnosi, prima ci si può curare.

È qui che entra in gioco l’Associazione “Gemme dormienti”?

Sì, certo. Perché prima si interviene, più tempo si ha a disposizione per programmare anche la preservazione della fertilità nelle pazienti – Gemme dormienti ha un focus particolare sulla donna – la cui capacità riproduttiva è messa a dura prova dalle terapie anticancro.

Naturalmente, la nostra Associazione opera in assoluto concerto con gli oncologi e altri specialisti, in un’ottica di alleanza. Sono loro a segnalarci la paziente e noi, entro massimo 48 ore, la vediamo e le offriamo un quadro completo della sua fertilità specifica. La sottoponiamo, infatti, a uno studio ormonale, la visitiamo con cura e procediamo con un’ecografia pelvica che misura lo spessore della mucosa uterina e il numero dei follicoli antrali. La donna viene inoltre adeguatamente informata sulle tecniche di preservazione ed esprime il suo consenso in un documento validato da un Comitato Etico. Se poi, come quasi sempre accade, la paziente vuole procedere e otteniamo l’ok dai medici invianti, si parte con le tecniche di preservazione.

La cosa incredibile è che anche pazienti giovanissime, che magari non hanno mai avuto un rapporto sessuale, vogliono preservare la propria fertilità in vista di cure invasive. Magari a essere mamma non hanno mai pensato veramente, ma la sola paura di non poterlo essere le spaventa. Si chiama istinto.

Dunque, a questo punto si può procedere. Come?

Ci sono essenzialmente tre modi.

Il primo prevede l’utilizzo di farmaci per via iniettiva durante la chemioterapia. Agisce attraverso diversi meccanismi e, fra gli altri, induce uno stato di riposo ovarico che rende gli ovociti meno attaccabili dai farmaci. È indicato nelle donne che abbiano già avuto il menarca (la prima mestruazione).

Il secondo è la crioconservazione degli ovociti. Naturalmente deve avvenire prima dell’inizio delle terapie e necessita di almeno due settimane. La scienza ha dimostrato che il ciclo di stimolazione ovarica, per raccogliere gli ovociti che poi saranno conservati, non altera la prognosi della malattia che il soggetto si accinge a curare.

Arriviamo infine al terzo, ovvero la crioconservazione del tessuto ovarico. Questo metodo, oltre a consentire future gravidanze, permette una ripresa della funzione ovarica. Consiste nell’asportazione di frammenti di tessuto ovarico, prima della chemioterapia, con un piccolo intervento chirurgico. Il tessuto potrà essere reimpiantato ad avvenuta guarigione.

Attenzione, però, anche qui il miracolo non esiste. Tutte queste metodiche funzionano sotto i 40 anni. In Italia, dopo la valutazione del bilancio di fertilità con gli esami descritti in precedenza, nelle migliori condizioni, la soglia massima per la crioconservazione degli ovociti è di 40 anni e di 38 per la crioconservazione del tessuto ovarico.

Dottoressa, l’importanza di preservare la fertilità di giovani donne che vanno incontro a terapie importanti è chiara. Ma c’è di più anche aldilà dell’aspetto, diciamo, fisiologico?

Certo che sì. In un momento davvero difficile della vita di una giovane donna, tutelare la sua fertilità significa fare progetti. Guardare al futuro. Affrontare una sfida del presente per ritrovarsi al meglio domani e con la possibilità di vivere appieno la femminilità. Si vince due volte: la prima contro la malattia, la seconda a fianco della vita!

Succede anche in Natura e non vi è nulla di strano: Le “gemme dormienti”, in botanica, sono quei germogli che si sviluppano successivamente alla loro formazione, protetti da un velo impermeabile: la Natura protegge le gemme, non ancora pronte, in vista di una fioritura che arriverà domani. E che sarà bellissima.